Andrea Morelli
Andrea Morelli, originario e residente di Spoltore (Pescara), ha iniziato la sua passione per la fotografia a 18 anni.
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MARIA TERESA CARNITI
Automatismi, Plugin e Creatività nel Processo Fotografico Digitale
dI ANDREA MORELLI
Nota
L’argomento si avvale di considerazioni e tabelle esplicative trattate nei corsi di base di Fotografia e Post-produzione tenute dall’autore per associazioni fotografiche, socio-culturali e scuole di cui sono allegati gli argomenti a fine relazione.
Nei suoi 180 anni e più di storia, il progresso della Fotografia si è avvalso di continui periodi di innovazione di ogni elemento che interviene nel processo fotografico: fotocamere, ottiche, materiali sensibili alla luce, processi e metodi di elaborazione, sviluppo e stampa.
Fino a poco più di 20 anni fa, e quindi per oltre 160 anni, è stato il processo chimico a consentire la “rivelazione” dell’immagine in trasparenza negativa e la successiva stampa positiva della stessa. Questo processo, definito “analogico”, ha permesso, ai fotografi più esperti e motivati, di conquistare forme e spazi di espressione fotografica sempre più creativi.
Dopo quella analogica, “l’era digitale” della fotografia, iniziata alle porte degli anni 2000, è stato un passaggio epocale che ha prodotto in modo drastico la trasformazione delle attrezzature di ripresa (fotocamere con sensore e supporti di memorizzazione) e dei metodi di elaborazione e di visione e utilizzo delle immagini.
Tra il 2007 e il 2008, il successivo ingresso dirompente nel mercato degli smartphone, come apparecchi fotografici (piuttosto che come telefoni…), ha portato la fotografia stessa ad essere uno dei fenomeni contemporanei globalizzanti più rilevanti.
Su una popolazione mondiale di circa 7,7 miliardi di persone, oggi sono 5,4 i possessori di smartphone, da considerarsi potenziali fotografi in competizione con coloro che continuano a utilizzare una fotocamera tradizionale (che non telefona…). Tra l’altro, gli smartphone, avendo vincoli di spazi ridotti e componenti miniaturizzati, subiscono continui sviluppi innovativi per l’apparato fotografico e in particolare per quello computazionale che spesso risulta anche di ispirazione per le fotocamere classiche.
Il protagonista di questa rivoluzione è senza dubbio il sensore digitale, componente della fotocamera sensibile alla luce, che ha sostituito la pellicola negativa usata nel processo analogico.
L’introduzione del sensore ha prodotto un primo sostanziale vantaggio economico a favore del digitale rispetto all’analogico, non essendo più necessario acquistare pellicole fotografiche né svilupparle per vedere il risultato dello scatto.
Il sensore ha la capacità di convertire la luce in segnali elettrici (luminosità e colore). Questi vengono inviati a un processore che li trasforma in codici digitali e infine salvati in una memoria flash. Da qui sarà poi possibile richiamare le informazioni registrate e visualizzare le immagini su uno schermo, come illustrato nella scheda seguente.
Le fotocamere digitali, mirrorless in particolare, godono di un altro grande vantaggio consentito dal “dialogo elettrico-digitale” tra sensore e processore: quello non da poco della pre-visualizzazione dello scatto nel display della fotocamera. Un valido ausilio in termini di angolazione e correttezza dell’inquadratura, di messa a fuoco e di esposizione ma anche di immediatezza nella valutazione di informazioni strumentali com ad esempio la gamma tonale della scena sotto forma di istogramma di luminosità come si può vedere nell’immagine che segue.
Spostandoci alle cosiddette fasi di post-produzione successive allo scatto, la possibilità di avere le immagini memorizzate o per meglio dire “codificate” in digitale ci consente di ripercorrere a ritroso il processo avvenuto al momento dello scatto, dalla fotocamera alla scheda di memoria.
Per mezzo di un PC o altro dispositivo, di un software specifico e di una migliore visualizzazione delle immagini su uno schermo ben più esteso del display (o di un mirino) di una fotocamera, è possibile riesaminare, elaborare e ottimizzare l’immagine attraverso strumenti predefiniti o aggiuntivi come i plugin.
Questo processo permette di elaborare i file Raw (“grezzi”, allo stato puro, senza alcuna compressione né regolazione) e modificare senza perdita di informazioni i dati di esposizione e quelli relativi al colore in termini di temperatura, tonalità e saturazione.
Rispetto al processo analogico e alla antiquata camera oscura (e alle difficiltà di operare in camera oscura) , la fase di elaborazione digitale degli scatti offre il grande vantaggio di “operare in chiaro”, intervenendo con modifiche alternative non distruttive e non necessariamente definitive.
I programmi di elaborazione fotografica (Photoshop, Lightroom, Capture, GIMP, ecc.) per i più esperti o alla portata di tutti, a pagamento o gratuiti, dispongono di una serie di strumenti elaborativi che agiscono per mezzo di complessi algoritmi sui parametri di scatto, apportando una serie di modifiche correttive o migliorative (secondo uno schema di lavoro come il seguente).
L’uso “inconsapevole” degli automatismi presenti nel processo fotografico digitale, dallo scatto alle fasi di elaborazione, garantiscono anche al fotografo meno esperto un buon risultato finale, dal punto di vista dei parametri fotografici: messa a fuoco, esposizione e resa dei colori. Non si può garantire un analogo successo circa l’aspetto compositivo basato esclusivamente sulla personale attitudine del fotografo di esprimersi. Ma questa facoltà è supportata, sempre grazie al digitale, dalla possibilità di valutare l’immagine immediatamente dopo lo scatto e di conseguenza decidere se eseguire interventi correttivi per centrare meglio l’idea.
Ma, nonostante le notevoli opportunità tecnologiche offerte dalla fotografia digitale, il fotografo compulsivo che interpreta l’uso degli automatismi come una comoda scorciatoia per evitare di approfondire i concetti che stanno alla base della Fotografia, ritenendoli oggi superati dai drastici cambiamenti avvenuti nel processo fotografico, rischia di non cogliere appieno la loro potenzialità. Questo atteggiamento è tipico di chi usa uno smartphone come fotocamera con il metodo “punta e scatta”: ma questo merita un discorso a parte.
Affidarsi completamente agli automatismi o agli algoritmi di elaborazione, non genera consapevolezza degli elementi in gioco in un processo fotografico e quindi non permette al fotografo di innescare un suo personale processo di sviluppo e di elaborazione mentale che stimolerebbe la sua creatività. Usando un linguaggio semplicistico, “l’uso di un automatismo, fine a se stesso, non permette di spiegare in modo esaustivo perché una foto è venuta bene o perché è venuta male”.
Nei processi fotografici che si sono succeduti nei 180 anni di Storia della Fotografia, dall’analogico fino all’odierno digitale, i Fattori di base che influenzano la realizzazione di un’immagine fotografica, sono “semplicemente” Nitidezza e Gamma Tonale, quest’ultima meglio definibile in termini di Luminosità e Colore.
I Parametri di regolazione delle fotocamere, analogiche o digitali, sono sempre gli stessi: Messa a fuoco, Apertura di diaframma, Tempo di scatto e Sensibilità alla luce del supporto che acquisisce l’immagine (pellicola o sensore).
Gli automatismi, la cui spiegazione occupa centinaia di pagine nei manuali di istruzione delle fotocamere digitali, descrivono in pratica le possibilità di combinazione, o di variabilità, dei parametri di regolazione menzionati prima, allo scopo di prefigurare il più possibile le situazioni di ripresa in cui un fotografo può trovarsi.
Di fronte a questa complessità, molti fotografi, piuttosto che documentarsi, per attuare un giusto processo esperienziale meno frettoloso ma più ragionato sui processi fotografici, ritengono che i concetti tecnici di base della fotografia non sono necessari ma che composizione e senso estetico sono elementi più che sufficienti per essere un bravo fotografo: l’aspetto tecnico è irrilevante o secondario avendo a disposizione automatismi “chefannodase”.
Questo avviene anche in modo più evidente con l’uso dei programmi di elaborazione post-scatto, che offrono numerosissimi e sempre più attuali funzioni e strumenti di elaborazione, plugin, filtri pre-confezionati, ecc. in grado anche di stravolgere lo scatto fotografico originale.
Tornando indietro nella Storia ci rendiamo conto che la Fotografia, in ogni sua fase di sviluppo, ha avuto suoi spazi creativi commisurati alle possibilità di sviluppo dell’epoca.
Man mano che la Fotografia ha conquistato nuovi campi di applicazione, contemporaneamente sviluppo tecnologico delle fotocamere e dei programmi di elaborazione dell’immagine, le opportunità creative si sono di molto ampliate: questo lo si può raffigurare in un grafico che non rappresenta un preciso valore quantitativo ma aiuta a correlare gli elementi in gioco.
È evidente che nell’era digitale della Fotografia si sono rese disponibili potenzialità tecnologiche ed elaborative impensabili già solo 10 anni fa. Ma per usufruirne appieno è opportuno maturare una preparazione sulle basi e sulle origini della fotografia o praticare ragionate e approfondite sperimentazioni tecniche indispensabili. In alternativa si genera solo una pratica di uso degli automatismi ma non si avvia un concreto percorso costruttivo in termini la creatività.
Usare in modo creativo le innovazioni tecnologiche in campo fotografico prevede un percorso di esperienza personale di acquisizione e padronanza degli strumenti culturali di base e dei mezzi e dei processi più attuali e moderni: una buona preparazione sulle Basi della Fotografia e sulle Basi della Post-produzione (vedi programma di esempio riportato alla conclusione dell’articolo).
Questo iter consente gradualmente, ma anche in poco tempo, di sviluppare capacità tecniche ed espressive essenziali.
A beneficiarne è di gran lunga la creatività del fotografo, orientato a ricercare un’autentica identificazione del proprio stile personale, vero punto di arrivo di un percorso artistico-creativo.
Un discorso, questo, che vale solo per i circa 300 milioni di persone al mondo possessori di una macchina fotografica, che non sia però uno smartphone!
Lo smartphone, infatti, propone un approccio decisamente diverso a quello di una fotocamera. Sarà difficile convincere i 5,4 miliardi di possessori a rinunciare alle comodità di strumenti quasi perfetti, diventati ormai protesi fisiche e mentali de nostro corpo. La rivoluzione è irreversibile e ha già lasciato segni profondi di cambiamento nel mondo della Fotografia.